“L’atteggiamento con cui ci si approccia al mondo influenza l’esperienza che se ne fa”.
Partendo da questa laconica premessa vorrei proporvi una riflessione su un aspetto determinante del kung fu: con che predisposizione mentale ci approcciamo alla pratica?
Gli obbiettivi
Sempre più spesso e sempre in più ambiti ci viene insegnata l’importanza di fissare obbiettivi, individuare i mezzi più opportuni per raggiungerli e, una volta raggiunti, imparare a ripetere l’operazione.
Questa attitudine mentale, senza dubbio efficace in molti contesti, presenta però dei limiti se applicata indiscriminatamente a qualsiasi aspetto dell’esistenza umana come, per l’appunto, la pratica del kung fu.
Spesso infatti avviene di incontrare praticanti totalmente focalizzati su obiettivi quali:
– raggiungere un determinato “livello”, ad esempio: ottenere la cintura nera;
– imparare un determinata tecnica/forma;
– vincere assolutamente una competizione.
Non che ci sia nulla di sbagliato in ciò, ma se l’attenzione è fissata solo sul raggiungimento di tali obiettivi c’è il rischio di trascurare l’aspetto, a mio avviso, più importante: il percorso da fare per raggiungerli e il come lo si fa.
Se l’arte marziale è intesa come Via (stile di vita, percorso spirituale, metodo di realizzazione personale, chiamatelo come preferite) allora è bene comprendere che l’ESSERE è più importante dell’AVERE e che, sebbene gli obbiettivi siano importanti, essi costituiscono “il mezzo” e non “il fine” della Via.
Riprendendo gli obbiettivi citati poco fa, potremmo integrarli con le seguenti riflessioni:
– ottenere la cintura nera non equivale ad essere una cintura nera;
– imparare una forma è ben diverso dall’assimilarla e dal farne propri i principi;
– arrivare primi ad una competizione è diverso dall’essere un campione.
L’apprendimento
Nel kung fu, come in tutte le altre arti marziali orientali, l’allievo è invitato a fare anziché domandare e l’intero processo d’apprendimento è in buona parte (attenzione: non totalmente) basato sulla comprensione derivante dalla pratica.
Naturalmente il maestro deve fornire delle indicazioni sufficienti affinché l’allievo sia in grado di praticare in maniera corretta e proficua, tuttavia la comprensione può giungere solo dalla pratica individuale e non ci sono scorciatoie: anche se il maestro fornisse delle spiegazioni a livello concettuale, queste sarebbero inutili, se non dannose, poiché lo studente si troverebbe intrappolato nella discrepanza tra l’aspettativa concettuale ed i limiti delle sue attuali capacità.
Nella pratica esterna lavoriamo il corpo con la mente e la mente con il corpo e man mano che si “assimila” un’abilità la comprensione che ne abbiamo muta. Per questo la tecnica si evolve con il praticante stesso e se si ha l’occasione di confrontare l’esecuzione di un maestro in tempi diversi, questa risulterà probabilmente diversa.
Vi sollecito pertanto a riflettere su come vi approcciate al vostro studio, su che aspettativa avete quando imparate una nuova tecnica (ricordatevi: sta a voi farla vostra) e su come vi confrontate con il vostro maestro.
Arte o merce?
Per alcuni il kung fu è arte, per altri fitness, per altri svago e per altri ancora… affari!
Approfitto di queste righe conclusive per una breve riflessione su un fenomeno abbastanza comune:
cosa succede se l’arte marziale diviene merce?
In un mondo sempre più mercificato esiste il rischio concreto di considerare l’arte marziale come un oggetto da acquistare; un ragionamento quasi automatico: in fondo si sborsa denaro in cambio di lezioni, esami, stage, gare, ecc… una collezione di “cose” da acquistare. Il fenomeno esiste da tempo e su tale attitudine sono stati costituiti modelli di business piuttosto proficui.
Poiché la questione è complessa, restringiamo subito il campo d’indagine al soggetto di questo post:
il nostro approccio alla pratica.
Il mio invito è di considerare l’arte marziale come una filosofia di vita, così facendo si diviene immuni alla trappola mentale dell’AVERE rispetto l’ESSERE e ci risulterà evidente che, per quanti soldi siamo disposti a spendere, non potremmo mai acquistare né l’esperienza né l’abilità derivante da una sana pratica protratta nel tempo.
Anche la smania di accumulare cinture o forme perderà d’importanza poiché ci renderemo conto che non saranno né il colore della fascia attorno ai fianchi, né gli attestati appesi al muro a definire ciò che siamo.
Naturalmente non saremo nemmeno tanto ingenui da negare l’importanza del denaro, fondamentale per sostentare i costi della scuola e dare un contributo ai maestri, ma nutriremo un sano scetticismo se ci capiterà di incappare in “maestri” per cui gli studenti sono ridotti a clienti.
Una filosofia di vita
L’approccio alla pratica è fondamentalmente determinato da che cosa intendiamo con il termine kung fu;
come avrete capito, il mio consiglio è riscoprire l’arte marziale come una filosofia di vita e in questo post ho descritto alcuni degli aspetti influenzati da tale cambiamento di prospettiva. A voi sperimentare il resto.
Sifu Abramo Zanesco