Perché questo articolo?
Perché oltre ad essere un argomento utile a noi e a chi approccia alla pratica, è nato a cena, in uno di quei momenti di “chiacchiera” tra “cugini”, e visto che non tutti hanno avuto la possibilità di seguirlo in diretta, lo proponiamo così. 😊
Grazie infinite a Marilena per essersi resa disponibile!
Abbiamo chiesto a Marilena Civetta, che oltre ad essere allieva di Sifu Diego nella scuola di Gubbio, è psicologa, psicoterapeuta dinamica e terapeuta EMDR, di condividere il suo pensiero su un tema decisamente interessante: parliamo di arti marziali e legame con l’aggressività e vissuti traumatici.
Partiamo da una necessaria premessa prima di addentrarci nel vivo dell’argomento: cosa intendiamo con il termine “aggressività?”
Il termine aggressività è comunemente inteso nel suo versante negativo, quindi come sinonimo di violenza, dominio, sopraffazione. In realtà “aggressività”, (participio passato del verbo latino aggrĕdi) significa andare verso o contro: in origine aveva addirittura il significato positivo di andare verso un luogo o una persona per parlare, piuttosto che il senso di “assalire” che ha assunto in seguito.
L’aggressività quindi non è né negativa, né positiva: la possiamo considerare come una forza che l’essere umano ha a disposizione per compiere delle azioni, per “affermarsi”, per decidere se adeguarsi all’ambiente oppure no a seconda che questo sia arricchente o nocivo per lui e attraverso cui può destrutturare la realtà per crearne una nuova.
Come mai ne abbiamo così timore allora?
Temiamo la forza aggressiva perché siamo consapevoli che potrebbe sfuggire al nostro controllo; insieme alla pulsione sessuale infatti, è la forza più potente e vitale che abbiamo. E’ molto intensa, così com’è intensa l’emozione della rabbia, che insieme a quella della paura, innesca l’aggressività per attaccare o fuggire.
Anche la rabbia è spesso “mal vista”…
Anche la rabbia, come l’aggressività, subisce un destino infausto, è molto temuta e spesso siamo inclini a pensare che sia “sbagliata”.
In realtà la rabbia come tutte le emozioni di base, ha una sua funzione adattiva che ha consentito all’essere umano di sopravvivere nei secoli. Serviva ad esempio di fronte ad un predatore, per attaccare o fuggire e mettersi in salvo, per reagire di fronte al pericolo.
In linea generale la rabbia può attivarsi quando ci sentiamo invasi, raggirati oppure impotenti, al fine di farci “uscire” da quella sensazione o situazione spiacevole.
Oggi però rispetto a ieri abbiamo imparato, o almeno avremmo dovuto imparare, a mediare i conflitti attraverso la comunicazione. Nella stragrande maggioranza dei casi quindi, non è necessario “agire” la rabbia con un comportamento violento: possiamo invece cogliere il segnale che ci sta dando “l’emozione rabbia” per modificare l’impulso aggressivo e veicolarlo verso un comportamento calibrato e più pacifico per regolare la relazione con l’altro/gli altri.
Questo processo lo possiamo chiamare “mentalizzazione”. Quando mentalizziamo abbiamo molte più possibilità di interagire e regolare il mondo esterno ed interno che quando sfoghiamo direttamente un impulso. La fatica che comporta recuperare l’energia di quest’ultimo per elevarne l’azione su un piano comunicativo, artistico, arricchente e positivo socialmente, aumenta la nostra forza psichica.
E qui torniamo al tema aggressività e arti marziali: ritieni che possa essere di aiuto la pratica delle arti marziali per “mentalizzare” l’aggressività?
Pratico il kung fu da qualche anno e sto constatando con mano quello che viene spesso insegnato dai nostri Sifu: che praticare le discipline marziali non va solo a sviluppare l’energia e la forza fisica, ma anche l’energia e la forza mentale.
Nell’arte marziale infatti si diventa abili ad utilizzare l’aggressività: se ne esercita la padronanza, il controllo, la gestione, per poi dirigerla verso una meta. L’ allenamento stimola le emozioni che quindi hanno più possibilità di essere riconosciute, modulate ed espresse, perciò mentalizzate. Può essere una vera e propria palestra dell’energia aggressiva, così come lo è andare a scuola e studiare per la nostra mente cognitiva. L’allenamento marziale non lascia la pulsione libera di distruggere, ma ne assume la “maternità/paternità”: la sua energia viene canalizzata e indirizzata consapevolmente verso un fine, un obiettivo. Quando questo avviene, come dicevo, a livello psichico viene prodotta una maggiore forza.
Potrebbe essere utile quindi per chi sente di utilizzare male l’aggressività? E nei casi di bullismo?
L’aggressività utilizzata in modo negativo ha due poli: la violenza e la passività.
In generale possiamo aver avuto un’esperienza negativa dell’aggressività e quindi aver sviluppato delle convinzioni patogene rispetto ad essa che poi condizioneranno la nostra vita anche nell’età adulta.
Un bambino ad esempio che subisce bullismo, abusi o violenza da parte dei coetanei o da parte delle figure di rifermento come genitori o educatori, potrebbe sviluppare la convinzione che l’aggressività sia qualcosa di fortemente dannoso e pericoloso da non utilizzare mai. Inconsapevolmente blocca quindi dentro di sé l’uso di questa energia e ciò facilita molto il rischio che si possa sentire mentalmente troppo debole per “avversare” i suoi aggressori e proteggersi. La paura di non farcela a reggere il confronto è talmente alta da non permettere di esporsi ad una umiliazione ulteriore; spesso poi si accompagna a tutto questo la convinzione di “non valere” abbastanza perché ci si meriti di essere difesi o difendersi.
Di contro, il bambino potrebbe imparare che la violenza è il giusto modo di farsi valere e rispettare, potrebbe quindi ripetere i comportamenti che lui stesso subisce con altri bambini per sentirsi più forte, nel ruolo stavolta di chi domina.
Quindi assolutamente si, l’arte marziale può allenare all’uso di una sana aggressività, anche detta auto-affermazione o assertività ed essere alla base di una buona prevenzione a tutto questo. Con l’aiuto del proprio maestro l’uno potrà essere stimolato a sbloccarsi dall’immobilizzazione difensiva del proprio corpo, l’altro potrà essere sollecitato, grazie al clima di rispetto insegnato nelle arti marziali per i propri compagni e gli altri esseri umani in generale, ad elevare l’istinto aggressivo e le emozioni di rabbia e paura su un piano superiore.
In qualunque attività che coinvolga il corpo poi, non si può mentire: ci si espone con le proprie capacità e i propri limiti. Attraverso la mediazione di un buon maestro ci si abitua a confrontarsi col proprio limite, a non temerlo e a superarlo in modo sano e onesto e quindi consolidare e fortificare anche la propria autostima.
Potrebbe essere utile questa disciplina anche per chi ha già subito un trauma?
Fermo restando che la prima forma di “riequilibrio” e armonizzazione graduale dei vissuti traumatici è la psicoterapia, si, se si è interessati prendere o “ri-prendere” confidenza con le forze aggressive.
Quando subiamo un trauma infatti, l’esperienza che viviamo supera la capacità del cervello di elaborare l’accaduto e alcune immagini, pensieri, emozioni vengono congelate all’interno della mente e parti della muscolatura corporea vengono bloccate. Rimettersi consapevolmente in una situazione “come se” si fosse in una lotta o all’interno di un’ aggressione, può stimolare e ricontattare le memorie traumatiche. Allenarsi, com’è tipico delle discipline militari, utilizzando anche il massimo delle forze, al fine di superare la stanchezza iniziale e attingere alle riserve di energia fisica del nostro corpo, fa scattare nel cervello dei meccanismi di emergenza e sopravvivenza simili a quelli dei vissuti traumatici, che si cerca poi con la pratica di conoscere e dirigere. Evidentemente stavolta la persona ha il controllo della situazione, può ricontattare questi vissuti in modo molto attenuato, lontano da quanto realmente accaduto e soprattutto può riprendere padronanza e dominio su di essi. Ciò’, stimola il cervello, anche attraverso lo sblocco della muscolatura, a liberare le emozioni congelate e ricontattare consapevolmente la propria energia aggressiva. Per lo sblocco delle processazioni “congelate” per effetto del trauma e l’elaborazione di esse ci vuole però uno psicoterapeuta esperto in questo ambito.
Le attività sportive agonistiche, in generale, sollecitano questo in misura diversa, ma le discipline marziali nel proprio specifico hanno nel tempo ritualizzato e mentalizzato la lotta, l’hanno tradotta in forme da apprendere, intenzioni di offesa e difesa da immaginare; stimolano a vivere il combattimento visualizzandolo mentalmente quando ci si allena individualmente, o più concretamente quando si lavora in coppia. Possiedono in sé una vasta gamma di gradi di aggressività e si può passare da un allenamento senza contatto con altri, allo scontro fisico vero e proprio. Offrono quindi un vastissimo ventaglio di possibilità per diventare abili con la propria aggressività, conoscerla, mentalizzarla e sublimarla. Per questo le trovo particolarmente utili per chi vuole esercitare in modo sano la propria abilità nell’uso dell’aggressività.